“Mandò a prendere uno di quei dolci corti e paffuti, chiamati Petites Madeleines, che sembrano modellati nella valva scanalata di una conchiglia di San Giacomo. (…) mi portai alle labbra un cucchiaino di tè dove avevo lasciato ammorbidire un pezzetto di madeleine. Ma, nello stesso istante in cui quel sorso frammisto alle briciole del dolce toccò il mio palato, trasalii, attento a qualcosa di straordinario che accadeva dentro di me. Un piacere delizioso mi aveva invaso, isolato, senza nozione della sua causa. (…)Donde mi era potuta venire questa gioia potente? Sentivo che era legata al sapore del tè e del dolce…” (Alla ricerca del tempo perduto volume 1 – Dalla parte di Swaan – Marcel Proust)
Le madeleine portano la mia memoria al giorno dell’orale della maturità. Proust fu il mio autore in francese, ed ogni volta che vedo una madeleine provo la stessa sensazione, lì seduta pervasa dalla tensione a parlare del concetto di memoria involontaria, quella che è capace di restituire in modo irrazionale episodi del passato che si credevano perduti per sempre. Pare che a risvegliare e mettere in azione questa memoria, basti lo stimolo di una sensazione visiva, o olfattiva, come un profumo o un sapore, perché dentro di noi riaffiori un ricordo che è legato a quella percezione. Mi accade anche con il profumo dell’orzo, mi riporta alle mattine passate con mia nonna che abbrustoliva il pane e lo inzuppava in una tazza di latte e orzo, ma questa è un’altra storia.